a cura di Anna Maria Fazio e Lucia Chinigò
Posta sulla riva nord del fiume Crati, su Corso Plebiscito, in posizione strategica di collegamento della zona antica della città con la città nuova, l’ex Caserma Domenico Moro, oggi sede dell’Archivio di Stato di Cosenza, è un complesso monumentale di origine conventuale la cui fondazione risale al 10 febbraio 1510 ad opera dei Paolotti detti Minimi di San Francesco di Paola, sotto il Provincialato di Padre Bernardino da Cropalati, compagno e confessore del Santo.
Riguardo alle scarsissime notizie storiche sulla fondazione della Chiesa e Convento di S. Francesco di Paola a Cosenza, si riporta qualche breve stralcio di quanto descritto nella “Cronaca del Bosco”, manoscritto non datato, conservato presso la Biblioteca Civica di Cosenza.
“Dopo avere il Taumaturgo della Calabria San Francesco di Paola fondato nel 1435 il suo convento nella propria patria poi quelli di Paterno nel 1444, di Spezzano nel 1453, e nel 1458 quello di Corigliano, si vidde in Cosenza abbracciata tal Religione…” i Padri Minimi, giunti da Paola, furono temporaneamente ospitati nell’antica chiesetta sotto il titolo di S. Maria di Loreto, in un vecchio oratorio abitato da Eremiti e di lì a poco si pose la prima pietra della sontuosa Chiesa e del magnifico Convento su un terreno ceduto ai Padri dalla nobile famiglia de Matera, la quale cedette loro anche il fondo limitrofo detto Paparelle, e questo fu il primo Convento dell’Ordine dei Minimi costruito dopo la morte del Santo.
La decisione procrastinata per molti anni e per motivi incerti, col ritorno del R. P. Bernardino da Cropalati, finalmente mise radici e per beneficenza dei cittadini di Cosenza pervennero a quella giusta grandiosità.
In occasione della posa della prima pietra, a cui parteciparono oltre ai frati, Bernardino Cavalcanti, in qualità di Vicario sostituto, Sir Giantommaso Sambiasi, Sir Agostino Longo, “ …in tempo che regnava la chiesa di Cosenza il Cardinale Francesco Borgia e la Provincia D. Ugo De Moncada, che poi fi Viceré del Regno…”, ci fu una solenne processione “…e vi fu lo sparo in tal principio del Regio Castello, come dall’atto che informa probante si conserva nell’archivio di detti Padri”. Giambattista Morelli,
La Cronaca del Bosco descrive che, durante i lavori di costruzione da parte di persone religiose, “non mancarono maligni istigati dal demonio, e gente perversa di demolire la notte le fabbriche che il giorno si costruivano” e che riuscita inutile l’ordinanza del governatore D. Ugo di Moncada e dell’Arcivescovo Cardinale Borgia, il Padre Correttore Provinciale nel 1514 ricorse al Pontefice Leone X “da cui sotto il dì 24 novembre ottenne Breve, con cui, sotto pena di scomunica, si ordinava alli dannificanti di convenirli dal Correttore, fra giorni venti, qual Breve fu inscritto nel Monitorio spedito in forma probante sotto il dì 25 dicembre di detto anno, firmato dal Cardinale Alessandro Farnese, che rimesse in Cosenza, e si conserva nell’Archivio suddetto, che da me sono stati visti ed osservati nel mese di settembre 1750”. In realtà l’introduzione in Cosenza di un nuovo ordine monastico con una ormai consolidata influenza nel Regno minacciava di oscurare tutti gli altri.
Il 4 gennaio 1543 per ordine Regio “si difese ed appianò il monte sui Murgia con piante di olive davanti la chiesa suddetta in tempo del Presidiato di D. Andrea Manriquez spagnuolo”: oltre a dotare la Chiesa di un adeguato sagrato, ciò consentì nel 1566 l’erezione della cappella esterna dedicata al Santissimo Salvatore ed il completamento del chiostro interno.
Per le loro necessità i Frati si servivano di due fontane, una situata davanti alla porta della cucina e l’altra accanto al muro che sporgeva sui loro ortalizi: invano cercarono di portare l’acqua di detta fontana nello spiazzo antistante il Convento. I Religiosi si affidarono all’ingegno di un tal Carlo Massaro che però, costruita la struttura della fontana non riuscì a convogliarne l’acqua. Altra fontana in uso ai Monaci era quella della “Grotta delle Paparelle”, posta alle spalle del Convento.
Le vicende storiche dell’ex Convento si intrecciano con quelle dell’attigua Chiesa del Santissimo Salvatore edificata nel 1567, sotto il pontificato di Pio IV e la guida dell’Arcivescovo di Cosenza Tommaso Tilese, che ne pose le fondamenta, “…cui i padri di sopra vi stabilirono l’infermeria abbattendosi quella che era abbastanza distante dalla clausura del Convento…”.
In origine appartenuta alla Congrega di Sant’Omobono o dei “Sartori”, oggi Chiesa di rito Greco, ha un portale in pietra realizzato nel 1703 con bifora soprastante, dove prevalgono le forme tardo-rinascimentali, con reminiscenze medievali, tipiche delle maestranze roglianesi. Infatti, i Padri Minimi costruirono sopra l’impianto una nuova infermeria, poiché quella di cui disponevano era alquanto distante dalla “Clausura” del Convento.
Già nel 1720 il complesso conventuale è costituito dalla Chiesa “ridotta alla moderna”, trasformata e decorata con stucchi barocchi, con un magnifico “capo altare”,un chiostro con colonne “ad un pezzo di piperno”, un ampio Refettorio “a lamia” e, nella zona soprastante, un grande dormitorio a due ale completamente ridisegnato all’interno dal maestro napoletano Giovanni Calieri.
La Chiesa è ad una navata con un cappellone laterale dedicato a S. Luca.
Il cappellone formato da due cappelle comunicanti è certamente cinquecentesco poi rimaneggiato. Entrambi gli ambienti presentano copertura cupoliforme su pennacchi di raccordo a pianta circolare il primo e a pianta ottagonale il secondo; le cappelle aprono sulla navata con due arcate qualificate da una articolata impaginazione architettonica rimessa in luce dai restauri degli anni settanta. Problematica in questa Chiesa è anche la singolare forma dell’abside a ferro di cavallo. Vicino all’ingresso è ubicato il grandioso sepolcro marmoreo, opera del carrarese Raimo Bergantini, di Ottavio Gaeta, datato 1593 che riposa insieme a suo padre Marco Antonio: al di sopra dell’urna, entro nicchia, è collocata la statua di un guerriero mentre alle basi delle paraste è visibile lo stemma della famiglia Gaeta.
Sulla parete di destra sono da notare due tele del XVIII secolo raffiguranti una la Sacra Famiglia e l’altra la Madonna col Bambino tra S. Francesco da Sales e S. Francesco di Paola e posta in una cornice arricchita da altorilievi raffiguranti piccoli angeli. Sull’ultimo altare della parete di destra della navata c’è la bella statua lignea raffigurante San Francesco di Paola intagliata e dorata ascrivibile al secolo XVII, accanto in un’urna marmorea, il reliquiario contenente reliquie di San Francesco. Sul lato sinistro della navata un’altra statua lignea su un altare raffigurante San Michele Arcangelo di scuola napoletana del XVIII secolo. Nel cappellone di S. Luca c’è l’importante opera di Pietro Negroni datata 1551, raffigurante la Madonna col Bambino in gloria e i Santi Paolo e Luca, sull’altare maggiore c’è la preziosa pala di Cristofaro Faffeo, ascrivibile ai primi anni del cinquecento. E’ un trittico raffigurante al centro la Madonna con il Bambino ed ai lati i Santi Caterina d’Alessandria e Sebastiano.
Il Convento è a pianta quadrangolare e si articola attorno ad un superbo chiostro quadrato di sei campate per lato, con arcate a pieno centro su colonne monolitiche in pietra e loggiato superiore coperto a falde, inoltre si sviluppa in elevazione su tre piani fuori terra. Le colonne, a seguito di un precedente restauro a cura della Soprintendenza per i beni AAAS della Calabria, sono state liberate dalle tamponature e dalle strutture superfetative. Il portico a pianterreno è costituito da volte a crociera in muratura poggiate su pareti perimetrali e su colonne a piperno tagliate in un solo pezzo. Il corpo che circonda il chiostro è costituito da una struttura a muratura portante con solai misti in ferro e laterizi, in alcuni punti sorretti da pilastri in cemento armato.
Sia l’impianto architettonico e distributivo, sia i resti di affreschi del ‘500 e del “600 che decorano le pareti del chiostro, purtroppo portano ancora i segni indelebili delle tante destinazioni d’uso improprie e rimaneggiamenti arbitrari a cui è stato sottoposto l’edificio nel corso dei secoli, ma nello stesso tempo conserva sempre nel contesto urbanistico della città la sua funzione polarizzante di attività sociali, culturali e religiose.
Nel 1754 durante il provincialato di Padre Bernardino di Bernardis, si decise di ampliare l’edificio originario, innalzando un nuovo “quarto” per comodità dei Provinciali. L’infermeria fu trasferita nelle stanze provincializie, in una delle quali fu collocata anche la Libreria.
Già l’anno successivo i lavori terminarono con l’apertura di quattro balconi in ferro. Dello stesso periodo sono i locali annessi all’abside della Chiesa.
In seguito nel Convento vi si stabilirono gli Studi dell’Ordine e“vi ànno risplenduto…Religiosi letteratissimi al pari degli altri”. A Padre di Bernardis successe Padre Antonio Maria Albidona da Montalto, Lettore giubilato e, dopo di lui, il Frate cosentino Antonio Piro, uomo di grande carità, dottissimo ed autore di numerose opere. In breve tempo, con l’incremento numerico dei religiosi diventa prioritaria la formazione dei futuri candidati al sacerdozio alla quale si inizia a provvedere attraverso l’incremento dei Padri Lettori e l’istituzione di Biblioteche.
L’Andreotti, nella sua “Storia dei Cosentini” fa i nomi di alcuni concittadini che si distinsero in questo Monastero: nel 1514 Giovanni Rocchi, Provinciale e predicatore assai stimato, nel 1593 il Provinciale Girolamo Barone, dotto nelle lettere antiche, i Sambiasi e i Cesario esperti nelle “fisiche cognizioni” e professori di filosofia razionale. Nel 1596 Anselmo Stocchi, molto conosciuto nella provincia per i suoi componimenti letterari, oltretutto mai pubblicati e, nel 1597 il teologo Vincenzo Trocini.
I Minimi, in brevissimo tempo si erano resi protagonisti della grande stagione del clero regolare, principalmente per l’impegno mostrato nella pastorale e nella catechesi ma anche per il ruolo di primo piano avuto nel settore economico e per i rapporti intrattenuti con le diverse realtà territoriali.
Dalla nascita del primo convento a Paola nel 1435, ad opera del Santo, i seguaci di Francesco avrebbero iniziato una espansione che, avviatasi quasi in sordina con 10 conventi presenti negli antichi Stati italiani alla fine del XV secolo, li avrebbe portati alla metà del XII secolo a 199 insediamenti.
Nel 1810 per effetto delle leggi sulla soppressione, il Convento divenne prima sede dell’Arcivescovato e del Seminario poi fu destinato a padiglione militare ed in seguito vi si stabilì la Direzione dei Dazi diretti ed indiretti e la Direzione del Registro e Bollo ed Ipoteche.
Il complesso conventuale fu tra i primi ad essere incamerato dal nuovo Stato liberale.
L’avvento francese nel regno delle due Sicilie apporta infatti una folata ideologica antimonastica, dettata soprattutto dalla volontà di dare il giusto equilibrio, con interventi mirati e graduali, al disastroso disavanzo finanziario delle amministrazioni pubbliche centrali e periferiche, accumulato negli anni precedenti.
I provvedimenti legislativi, che dal 1806 in poi si abbatterono sulle corporazioni religiose meridionali, miravano quindi all’utilizzazione delle ricchezze passive dei Conventi.
Basti pensare che alla fine del XVIII secolo tra gli enti ecclesiastici possessori di una notevole quantità di terreni tra 800 e 100 moggia, in ordine decrescente erano i conventi di S. Teresa, S. Domenico, S. Francesco di Paola, S. Maria di Costantinopoli, le Vergini, S. Chiara, Gesuiti e S. Maria del Carmine.
Avvenne quindi che tra le mura del soppresso Convento dei Minimi si concentrarono numerosi uffici pubblici e servizi che andarono a costituire un consistente polo di funzioni: le “officine finanziarie” quelle delle Poste e, con delibera del 13 giugno 1838, gli uffici di leva.
Passato quindi nel 1814 alla Provincia con decreto del 29 dicembre 1814, nel 1820 fu permutato con il Comune, in cambio del Monastero di Costantinopoli.
La Chiesa, ceduta anch’essa al Comune, si deliberò di mantenerla al culto.
Nel 1818, infatti, ad opera dell’Intendente Mandarino, erano iniziati i lavori di riduzione del Convento di Costantinopoli a sede dell’Intendenza di Calabria Citra, ed il Padiglione militare pertanto fu trasferito nel Convento di S. Francesco di Paola, che in parte era ancora adibito a Seminario Diocesano e Vescovado.
E’ del 16 agosto 1819, la presentazione di un progetto per la riduzione del soppresso convento a Padiglione di Ufficiali. Nel mese successivo, nella sede dell’Intendenza sono annunciate le aggiudicazioni provvisorie e definitive per l’appalto dei lavori.
Con decreto del 28 marzo 1823, il Comune vendeva il giardino del Convento alla famiglia di D. Pietro Salfi, cedendo in fitto il piano superiore, dal 1828 al 1854, all’Intendenza e al Ministero degli Esteri, come sedi di uffici finanziari, previo pagamento annuo di 447 ducati.
La notte del 13 ottobre 1835, la fiancata sinistra del Vallo del Crati e parte della destra tremò paurosamente per 20 secondi. Cosenza e Comuni limitrofi subirono danni in tutti gli edifici.
Il Convento subì danni molto gravi, soprattutto nella parte adibita ad alloggi di Ufficiali di gendarmeria e nei locali che ospitavano le Officine finanziarie.
Proprio in quell’anno il Comune di Cosenza presenta uno stato estimativo per lavori di somma urgenza da eseguirsi all’impianto. (1)
Gli anni che seguirono furono di enorme sofferenza, il fabbricato si presentava in pessime condizioni statiche (2), tanto che nel 1853 si dovette provvedere ad un puntellamento per scongiurane il crollo.
Nel 1854, un’altra scossa di terremoto, di breve durata ma intensissima, causò danni di varia natura ed entità in quasi tutte le strutture pubbliche e negli edifici ecclesiastici della città: nel convento delle Cappuccinelle, nel collegio dei Gesuiti, nella Cattedrale, nel Seminario Diocesano, nell’Episcopio e nelle Chiese di S. Nicola, S. Gaetano e in S. Francesco di Paola i cui danni furono così gravi al punto che il quarto superiore della facciata che guarda ad oriente del Convento fu interamente demolito e fu abbassato l’appartamento nella parte a settentrione.
La parte cuspidale del magnifico campanile, rivestita di mattoni impatinati, fu abbattuta e, nel 1855 iniziarono, a cura dei Frati, i lavori di ricostruzione. Si rifece quindi il prospetto: la facciata termina con un muro a vela e la torre campanaria, che è stata abbassata, è coperta da una volta a padiglione alla cui sommità è stata collocata una sfera in rame che regge la bandiera e la croce di ferro.
Altri danni la Chiesa dovette subire con il terremoto del 1908 ed in quella occasione vennero ricostruite parte della volta e il finestrone della facciata con forme rinascimentali.
In una lettera del 13 maggio 1854, l’Intendente espone al Sindaco di Cosenza le premure dei Direttori Provinciali per la risoluzione del problema con urgenti restauri nei locali del Convento, completamente impraticabili dagli impiegati e per il reperimento di nuovi locali necessari alle officine finanziarie “…che nella stagione estiva non possono continuare a rimanere nella provvisoria baracca costruita sia per una stabile dimora …”. (3)
Nello stesso anno il comune di Cosenza cede ai Religiosi Minimi una parte dell’antico Convento, in esecuzione del Sovrano Rescritto del 22 marzo 1854 di Ferdinando II di Borbone ed anche una porzione delle loro vecchie case, pur continuando ad ospitare l’“officina finanziaria e bollo”.
Trasferito poi il Vescovado nell’attuale sede, il 20 luglio 1857 il Re ordinava che il resto del Convento passasse ancora in mano ai Padri, ed il primo aprile 1858, contro le proteste del Sindaco che riteneva illegale tale concessione, il Convento fu restituito completamente ai Minimi che vi aprirono un “ospizio”. (4)
Il Convento dei Paolotti, nei decenni che seguirono, fu oggetto di annose dispute tra il comune di Cosenza e la Cassa Ecclesiastica e, nel 1860 fu nuovamente soppresso (5) e destinato ad uso militare come Caserma “Domenico Moro”, nome con cui oggi è conosciuto, intitolata all’eroe risorgimentale perito nel 1844 insieme ai fratelli Bandiera nel Vallone di Rovito, mentre la Chiesa adiacente, con verbale del 17 marzo 1867, fu data in consegna all’Arciconfraternita di S. Maria del Suffragio dall’Amministrazione del Fondo per il culto, sotto il priorato Ferdinando Alessio.
Solo nel 1929, i Paolotti dopo aver sopportato enormi sacrifici e vissuto anche in alloggi di fortuna, finalmente ritornarono in possesso di una parte del Convento e ripresero a celebrare le funzioni religiose nella loro Chiesa. In quell’occasione furono loro consegnati gli oggetti ed arredi sacri dall’attuale Priore dell’Arciconfraternita del Suffragio.
Sotto il lungo Priorato del sig. Francesco Abruzzini, si eseguirono nella Chiesa diverse opere di restauro: il pavimento in marmo bianco e grigio al Sancta Santorum, il pavimento della Chiesa e delle due Cappelle con marmetti di cemento a mosaico e predella di tutti gli altari.
Inoltre fu ricostruita la volta della Chiesa, nella zona corrispondente all’orchestra, crollata a causa del terremoto del 1908 e il finestrone della facciata e, dal lato della via del ponte Alarico, furono costruiti, addossati alla Chiesa, dei fabbricati.
Nel recente dopoguerra il Convento fu utilizzato come ricovero dei senza tetto e lo stato dell’edificio è andato progressivamente deteriorandosi, al punto da divenire quasi un rudere.
Infatti, oltre ai danni subiti dai terremoti, il complesso monastico ha avuto quelli derivanti dai bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale che hanno reso precaria, per anni, tutta la copertura a tetto della navata centrale. Questa, più volte rimaneggiata, fu restaurata dal Genio Civile con un finanziamento del 1959 per danni alluvionali, e se da un lato i lavori garantirono l’isolamento dell’immobile dall’acqua piovana, compromisero dall’altro la stabilità dell’intera volta a botte ad incantucciato, sorretta ancora dalle antiche strutture lignee, in parte sostituite, in quell’ultimo intervento, con catene in ferro.
Altri interventi di restauro vennero approvati dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali nel 1976, con un primo finanziamento che consentì solo un approccio con saggi e parziali distacchi della struttura pericolante. Nell’anno successivo si ottenne un ulteriore finanziamento, più consistente del primo, per affrontare con determinazione ciò che fin dal 1963, era il guasto principale della Chiesa, e cioè quello della volta sull’ampia navata.
Nell’ottobre del 1980 l’immobile viene acquistato dai Frati e nelle more della registrazione del contratto, fu avviato il restauro conservativo che ne aumentò il valore, per cui il Ministero delle Finanze il 1° giugno 1982, restituì all’Ordine il contratto di compravendita poiché il prezzo d’acquisto era divenuto incongruo.
I Minimi ricorsero legalmente contro il Ministero, ma l’istanza fu respinta dal tribunale civile e, passato al Demanio Pubblico, sotto la tutela del Ministero per i Beni Culturali ed Ambientali, l’edificio conventuale fu dato in concessione all’Archivio di Stato di Cosenza, che ne aveva fatto richiesta per la necessità di una degna collocazione in un’unica sede.
La Provincia infatti aveva già inoltrato la richiesta di restituzione dei locali di Via Pezzullo, sede storica dell’Archivio, per dare inizio ai lavori di consolidamento dell’intera struttura e il progetto finanziato del secondo plesso in via Panebianco non andò mai in porto. Inoltre i locali reperiti necessariamente negli anni ’80 in Via Miceli, nel centro cittadino, non erano sufficienti ad accogliere tutto materiale documentario e il personale.
La decisione provocò una violenta reazione dei Padri, i quali inviarono un telegramma durissimo alle massime autorità nazionali minacciando di chiudere definitivamente la Chiesa e di abbandonare la Città, gettando quindi nello sconcerto l’intera cittadinanza: dopo una prima delusione, i Padri si erano visti respingere la richiesta di ottenere almeno una congrua parte del vecchio convento i cui locali in uso erano divenuti ormai fatiscenti a causa del sisma del 1980, in parte restaurati nel 2003 dall’Amministrazione comunale di Cosenza che era intervenuta solo nella zona del Convento più pericolante.
A seguito degli effetti scaturiti dalla protesta, la consegna del complesso demaniale all’Archivio di Stato venne prorogata ma, il 18 gennaio 1997 in un’apposita conferenza dei servizi furono accolte parzialmente le richieste dei Padri, anche se la consegna della parte loro destinata rimase sospesa poichè a titolo oneroso, mentre l’Archivio di Stato, ricevuta l’assegnazione dei locali, avviò i lavori di adeguamento dell’immobile alla nuova destinazione d’uso.
La lunghissima e spiacevole vicenda subì un importante evoluzione nel 2001 con l’arrivo del nuovo Superiore dei Minimi, Padre Rocco Benvenuto, il quale ritenendo ormai esaurito ogni possibile tentativo e sfumata anche la possibilità di ripristinare l’antico refettorio cinquecentesco, ultimo elemento architettonico di pregio giunto fino a noi, aprì un dialogo costruttivo e la trattativa prese una svolta diversa, di concerto con la Direzione dell’Archivio, con l’assegnazione ai frati di una zona del convento, in modo da evitare future sovrapposizioni per la manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile.
Note:
(1) Verbale d’urgenza del 20 ottobre 1835. I lavori riguardano il pianterreno, i piani superiori e corridoi di passaggio, i locali adibiti al registro e Bollo. Al secondo piano, i locali della Direzione dei Dazi Indiretti e al magazzino, la scala e al terzo piano superiore, diversi muri e copertura. ASCS, Comune di Cosenza, Archivio Antico, b. 22, fasc. 162
(2) Già nel 1816 l’Ing. Filippo Crispini aveva inviato all’eletto di Polizia della città di Cosenza una perizia di spesa di ducati 131 e grani 8 per il ripristino di un muro dell’edificio conventuale, crollato da molti anni. Il pezzo di muro è lungo palmi 50, alto palmi 16 e di spessore palmi 4, in tutto “canne napoletane 18 e tre quarti”.
Nel 1841 l’impianto fu oggetto di altri interventi da parte del maestro Felice Antonio Pugliano. Spesa prevista: ducati 8, grana 84 e decimi 8. I lavori interessarono i locali adibiti alla Conservazione ed all’Ipoteca e precisamente il corridoio, la stanza della Direzione ed il “luogo immondo” all’ultimo piano. I sedili vennero sostituiti con legno di castagno.
ASCS, Intendenza di Calabria Citra, Opere Pubbliche Comunali, b. 11, fasc. 248
ASCS, Intendenza di Calabria Citra, Opere Pubbliche Comunali, Edifici Pubblici, b. 12, fasc. 280
(3) ASCS, Comune di Cosenza, Archivio Antico, b. 44, fasc. 340
(4) Nel 1857, a seguito di danni causati da alluvioni e terremoto, l’impianto fu oggetto di altri interventi urgenti. Nella misura finale dei lavori eseguiti dal partitario Vincenzo Pucci si fa riferimento al tetto di copertura dal lato a settentrione che ospita le Officine Finanziarie, la demolizione completa dell’ultimo piano ed il rimpiazzo , a regola d’arte, delle tegole. ASCS, Intendenza di Calabria Citra, Opere Pubbliche Comunali, B. 13, fasc. 298
(5) Statistica delle Case religiose soppresse poste in ciascun Circondario della Provincia di Calabria Citra, in dipendenza delle istruzioni 20 novembre 1863 Ministero Culti. ASCS, Prefettura, Fondo per il Culto, b. 573
Bibliografia:
D. Andreotti, Storia dei Cosentini, Vol. II, libro XIII, cap. II, ed. Stab. Tip. S. Marchese , 1869, Napoli – Rist .Casa del Libro, 1959, Cosenza
ASCS, Intendenza di C.C., Opere Pubbliche Comunali
ASCS, Intendenza di C.C., Opere Pubbliche Comunali, Edifici Pubblici
ASCS, Archivio Antico Comune di Cosenza
ASCS, Prefettura, Fondo per il Culto
A. Ceccarelli: Cosenza sul finire del XVI sec. Ed. Frama Sud, 1978
Cronaca del Bosco: o della vera origine della città di Cosenza e del suo accrescimento col ragguaglio della fondazione della Chiesa Arcivescovile, suoi prelati, delle parrocchie, dei conventi dei frati, momasterii di donne, ed altro notabile della Regia Udienza Provinciale e i suoi Viceré e presidi - 129 fogli manoscritti, senza data - Biblioteca Civica - Cosenza.
C. Minicucci, Cosenza Sacra, Cosenza, Ed. D. Chiappetta, Anno XI
L. Guglielmo - O.P. Esposito, San Domenico di Cosenza 1447-1863. Vita civile e religiosa nel meridione, in Memorie Domenicane, nuova serie, 1974 n. 5, “Centro Riviste” Padri Domenicani, Pistoia.